Il cammino era stato lungo e faticoso, reso ancora più difficile dalla copiosa nevicata notturna che aveva ricoperto i pochi sentieri presenti fra i boschi che circondavano il Monastero di San Domenico.
Il vento sferzante sollevava da terra piccole cumuli di sottile neve rendendo faticoso mantenere aperti gli occhi.
Il Monastero si ergeva con le sue possenti mura fra gli alberi privi di foglie, imperturbabile di fronte alla tempesta che lo avvolgeva, quasi a celebrare e dimostrare la forza della Chiesa Aristotelica e dei suoi uomini, la potenza e la magnificenza di Aristotele; come una roccia, unico appiglio per l'uomo, in un mare in tempesta.
Dalle finestre si scorgevano le flebile fiammelle delle candele in balìa delle correnti che cercavano con forza ,ma invano, di trapanare le forti mura; ma nessuno avrebbe potuto mai avere il sopravvento su di esse. Dai camini, invece, salivano in alto sottili nubi di fumo quasi a dimostrare il legame che univa il Monastero al cielo, ora grigio.
Attle arrivò tremante, impaurito, stanco, ai piedi della grande porta, il vestito era bagnato, reso pesante dalla neve; la stanchezza si faceva avvertire con forza. Ma sapeva che avrebbe trovato in quel luogo ciò di cui andava disperatamente cercando da tempo.
Bussò, tremando, al portone.
Fratelli, sono Attle, giungo qui ,da Chiavari, su consiglio del Cardinale Tacuma.. darete, quindi, ospitalità ad un anima affamata di fede?
Chiese Attle aspettando risposta.